Il concetto di campana da immersione lo si ritrova già nell’antichità dove Aristotele descrive una discesa sott’acqua di Alessandro Magno e del comandante della sua flotta Nearco all’interno di una macchina da immersione che, seppur mai comprovata nella sua effettiva realizzazione, ci racconta di come fosse già conosciuto il concetto di campana o torretta da immersione.
La differenza fondamentale tra i due strumenti è il passaggio o meno di pressione all’interno dell’ambiente in cui trova posto l’uomo.
La campana è una sorta di grande bicchiere rovesciato, quindi aperto nella parte inferiore, dove la pressione dell’acqua alle varie profondità trasmette una equivalente pressione alla bolla d’aria che rimane intrappolata nella campana. Questo comporta alcuni effetti:
-l’uomo all’interno della campana respirerà aria a pressione ambiente e quindi risentirà di tutti gli effetti fisiologici che questo comporta (embolia);
-Aumentando la profondità di immersione l’aria all’interno della campana si ridurrà di volume (a meno dieci metri sarà la metà del suo volume totale)
-Continuando a respirare nello stesso ambiente senza ricambio di aria la anidride carbonica tenderàad aumentare di concentrazione con i classici rischi mortali della intossicazione da Co2.
L’immersione di Alessandro Magno nel Mar Egeo. Immagine tratta dal Manoscritto Bodley 264, XIV secolo, Oxford, Bodleian Library.
Tutti questi effetti cominciarono in qualche modo ad evidenziarsi durante l’uso di questi sistemi che iniziano a comparire nel XVI secolo. Proprio per favorire sia i lavori per la costruzione di opere ingegneristiche (moli, fondamenta di ponti, mura, ecc) che i primi recuperi di carichi e tesori affondati (soprattutto i galeoni spagnoli che affondavano in vicinanza delle coste e delle isole centroamericane). A riprova abbiamo molte incisioni che, a partire dalla fine del XVI secolo, comprovano questi utilizzi (vedi “Le Fortificationi” del Lorini).
Andando avanti negli anni anche l’uso della campana si fa più perfezionato con la possibilità di rifornire e cambiare l’aria all’interno della campana (vedi campana di Halley alla fine del XVII secolo).
La campana do Halley con l'illustrazione fantasiosa di come una persona poteva uscire dalla stessa per camminare sul fondo.
Nonostante queste innovazioni l’uso delle campane propone sempre dei grandi rischi anche se la possibilità di recuperare carichi di grande valore dal fondo del mare attira molti pionieri, sicuramente coraggiosi ma non sempre attenti. E’ il caso del droghiere scozzese Charles Spalding che perfeziona la campana di Halley con un sistema di carrucole che manovrate dallo stesso operatore sono in grado di far variare la quota di immersione della campana. Purtroppo Spalding e suo figlio rimarranno vittime di un incidente occorso durante l’uso della loro campana nella baia di Dublino, rimettendoci entrambi la vita (si parlò di colpo apoplettico, termine che nascondeva solitamente i malesseri da embolia o più verosimilmente di un avvelenamento da CO2).
La botte di Lethbridge
E’ comunque nel XVIII secolo che si cominciano a vedere i primi studi per scafandri o torrette che quasi totalmente chiuse cercheranno di difendere l’uomo dagli effetti della pressione (vedi scafandro o botte di Lethbridge del 1715). Sarà però nel secolo successivo (seconda metà principalmente) che le torrette cominceranno ad essere studiate e realizzate.
A differenza della campana la torretta è totalmente chiusa e quindi gli occupanti non sono esposti alla pressione subacquea e sono all’asciutto.
Rimangono i problemi della purificazione dell’aria interna e soprattutto la manovrabilità.
La torretta, attraverso degli oblò, dà la possibilità di esplorare l’esterno ma con delle limitazioni operative, soprattutto all’inizio del loro sviluppo, non indifferenti. Ad esempio il problema della illuminazione sul fondo del mare e anche la impossibilità per l’operatore di svolgere qualunque attività che non fosse la mera osservazione.
La torretta Davis fabbricata dalla Siebe Gorman, le prime apparvero intorno al 1912