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Diving Helmet Italy by Fabio Vitale
Diving Helmet Italy by Fabio Vitale

Le procedura di immersione nei palombari della Regia Marina - 1 parte

Nei primi anni dalla sua invenzione, l’uso dello scafandro era praticato in totale assenza di conoscenze circa le conseguenze dovute all’esposizione del corpo umano agli effetti della pressione.

Ben prima delle apparecchiature da palombaro erano usate per i lavori subacquei le

campane. Questi marchingegni altro non erano che una sorta di bicchiere capovolto portato sott’acqua. L’aria intrappolata nella campana (apparecchiatura sperimentata a partire dalla seconda metà del Cinquecento) permetteva ad un uomo di calarsi nelle profondità fino a toccare il fondale per brevi operazioni volte per lo più al recupero di oggetti. In epoca più tarda (Seconda metà dell’Ottocento) saranno introdotti i cassoni, che permetteranno a intere squadre di operai di lavorare sul fondale in un ambiente asciutto perché privato dell’acqua attraverso l’immissione di aria compressa.

Si poterono così compiere grandiosi lavori di scavo e costruzioni di fondamenta per ponti, moli, strutture portuali, ecc.

In entrambi i casi, gli uomini erano esposti agli effetti della pressione.

Normalmente le profondità non erano particolarmente elevate ma comunque capitava di superare i dieci metri di profondità, magari con tempi di esposizione alla pressione anche abbastanza lunghi.

Una volta in superficie poteva accadere che il malcapitato fosse colto da un attacco di embolia (anche mortale). In questi casi il referto parlava spesso di “colpo apoplettico” essendo appunto del tutto sconosciuti gli effetti della respirazione dell’aria a pressioni maggiori di quella atmosferica.

Fu la stessa identica cosa anche per i primi palombari che non avevano la minima idea di come l’attività di immersione potesse comportare una qualche modificazione all’interno del proprio corpo. L’uomo sott’acqua era uguale all’uomo sulla terra, tutto quello che poteva accadere era visto come un problema meccanico: gli incidenti erano la conseguenza dello sforzo richiesto dall’attività subacquea a un fisico non adatto o l’accidente in questione era nel destino o nei problemi relativi all’inquinamento dell’aria respirata. 

Incisione raffigurante la Campana di Charles Spalding del 1775.

Il suo realizzatore era un droghiere scozzese di Edimburgo la cui storia ben rappresenta quel periodo pionieristico.

Ebbe il grande merito di migliorare una campana già esistente, quella di Halley, risolvendo il problema della manovrabilità. All’epoca non era facile spostare dalla superficie queste campane e Spalding ideò un sistema di zavorre che, attraverso delle carrucole, permetteva agli occupanti della campana di farla salire o scendere. Ebbe un notevole successo ma pagò caro il rischio di questa nuova attività intrapresa.

Infatti, nel 1783, durante alcune immersioni su un relitto nella Baia di Dublino, Charles Spalding e suo figlio morirono per avvelenamento da anidride carbonica.

E’ da qui che nasce il proverbiale coraggio di questa particolare categoria di marinai e che l’immaginario collettivo ha sempre considerato come uomini molto speciali.

In effetti, ci voleva molto coraggio per mettersi dentro uno scafandro e affrontare non solo il buio, il freddo, la fatica, il pericolo dell’annegamento o dell’asfissia ma anche misteriosi malesseri cui ogni tanto qualche palombaro soggiaceva. Il coraggio di affrontare l’ignoto richiede sicuramente doti particolari.

In seno alla Marina, nei primissimi anni, c’era comunque una certa salvaguardia dovuta al prevalente utilizzo dei palombari all’interno dei bacini portuali e che portava ad effettuare immersioni in profondità relativamente limitate.

Con l’avanzare delle scoperte scientifiche del fisiologo francese Paul Bert, divulgate in un suo lavoro del 1878, si cominciarono ad adottare delle procedure d’immersione che, se rispettate, avrebbero dovuto evitare qualunque problema dovuto alla eliminazione dell’azoto in fase di risalita.

 

E’ molto interessante, soprattutto per gli odierni subacquei, dare un’occhiata alla procedura adoperata tra i palombari della Regia Marina Italiana fino ai primi anni del Novecento ed estratta dall’analisi dei manuali e di altre pubblicazioni dell’epoca:

 

OPERAZIONI PER LE IMMERSIONI

METODO ADOTTATO

Discesa a fondo del palombaro

Con velocità uniforme percorrendo due metri della profondità da raggiungere in un minuto primo

Venuta a galla del palombaro

Con velocità uniforme impiegando un minuto primo per ogni metro della profondità raggiunta qualunque essa sia stata

Tempo di permanenza del palombaro sott’acqua, in rapporto alla profondità raggiunta

Nessuna norma

Quantità di aria da fornirsi dalla pompa per il palombaro

Nessuna norma speciale, solo un generico richiamo al fatto che alla pompa ci debbano essere due serventi

Genere di pompe da usarsi nelle immersioni

Tipo Rouquayrol-Denayrouze del sistema Giffard

Numero dei cilindri di pompe da mettersi in opera alle singole e varie profondità

Nessuna norma speciale

Numero degli uomini ai volani

Nessuna norma speciale, solo la generica istruzione che i due serventi alla pompa non lasciano mai di pompare, tranne al comando espresso della guida.

Numero dei giri delle pompe al minuto primo

Nessuna norma

Profondità raggiunta dai palombari

In media fino a metri trenta

Soccorsi ai palombari

Previsti solo i soccorsi in casi di asfissia e annegamento del palombaro, non si fa alcun cenno all’embolia gassosa.

Incisione raffigurante un palombaro al lavoro in carena. Era questa la situazione più pericolosa per incorrere nel grave “colpo di ventosa” spesso fatale per il palombaro.

Diremo che un “metodo” è sempre meglio del nulla ma, in questo caso, ci viene data conferma che l’incolumità del palombaro in quegli anni era assolutamente affidata alla buona sorte e al fatto che l’intervento richiesto fosse non eccessivamente laborioso e lungo.

Certamente nello scorrere degli anni che portarono alla fine del secolo molte cose  cambiarono e le procedure di immersione furono improntate a standard operativi più precisi. Inoltre, cominciarono a essere previste all’interno delle istruzioni per i torpedinieri minatori-palombari anche le nozioni di primo soccorso che erano impartite da parte del medico di bordo della Regia Nave Scuola Torpedinieri. Contemporaneamente fu adottata la cassetta per i primi soccorsi ai palombari la cui presenza al seguito degli stessi divenne obbligatoria durante le attività di immersione, indipendentemente dalla presenza dell’ufficiale medico. Questo vuol dire che gli stessi palombari erano stati istruiti sull’utilizzo della cassetta e sulle manovre di primo soccorso.

Questi cambiamenti, per altro, non portarono al grande salto di qualità nel campo della sicurezza e dell’efficienza operativa nelle attività di lavoro subacqueo che saranno proprie dell’avvento del nuovo secolo.

A riprova di ciò vi è il numero di incidenti tra gli allievi palombari della scuola torpedinieri che risultarono essere frequenti e, spesso, di una certa gravità.

Molti i casi di paresi e di altri disturbi neurologici tipici delle sofferenze da embolia gassosa (meglio conosciuta a quei tempi come “malattia dei cassoni”). Si contarono anche dei decessi e, in alcuni casi, proprio per il “colpo di ventosa”.

Nel palombaro il “colpo di ventosa” assume una certa gravità.

Esso avviene quando il palombaro è sottoposto a un brusco sbalzo di pressione in aumento per effetto di una discesa molto veloce. Poteva capitare, ad esempio, quando per qualche motivo si perdeva l’appoggio alla struttura di sostegno che teneva il palombaro sospeso a mezz’acqua durante l’esecuzione di determinati lavori.

Se il controllo della braga sfuggiva, il palombaro nei primi metri di discesa subiva la compressione del volume del vestito e il suo assetto diventava ancor più negativo facendolo così precipitare verso il fondale. Soprattutto con le pompe a mano non vi era la possibilità di compensare velocemente lo schiacciamento della parte elastica dello scafandro con un maggior afflusso di aria per riportare l’assetto in equilibrio.

Come abbiamo detto la parte elastica si comprime mentre nella parte rigida (l’elmo, il cui volume è di circa 16 litri) si crea una depressione tale da richiamare al suo interno il palombaro stesso.

Questa depressione poteva diventare molto forte, soprattutto quando lo sbalzo di pressione era grande, andando a causare fratture delle clavicole e delle vertebre cervicali o emorragie interne. Nei casi più gravi si andava incontro alla morte.

Viene da sé che questo tipo di incidente era molto più grave nei primi metri di acqua dove al variare di una sola decina di metri la pressione poteva raddoppiare e di conseguenza creare una depressione molto forte all’interno dell’elmo.

Il fisiologo francese Paul Bert ritratto all’interno di una camera iperbarica di sua progettazione, strumento che utilizzava per la cura di svariate patologie ma ancora non applicata al problema della “malattia dei cassonisti” che affliggeva i palombari di tutto il mondo.

Per l’embolia, invece, la causa non era tanto la profondità raggiunta, che spesso non andava oltre i 20-30 metri, quanto l’enorme tempo di permanenza (2 / 3 ore e anche più) svolgendo normalmente un’attività fisica di un certo rilievo.

Il fenomeno preoccupava e sicuramente era visto come un ostacolo allo svolgimento efficiente dell’attività ma non c’era stato ancora chi avesse avuto l’intuizione di tradurre le sperimentazioni di Paul Bert in una regola affidabile.

Verso la fine dell’ottocento diversi ufficiali medici della nostra Marina (Curcio, Abbamondi) compirono esperimenti a La Maddalena per verificare gli effetti della decompressione sugli animali ma senza poter trovare la soluzione al problema. Non avendo scoperto quella famosa “regola” ci si abbarbicava ancora al vecchio metodo di risalita, spiegando che gli incidenti avvenivano per una non corretta applicazione delle procedure previste. Cinquant'anni erano passati ma pochi i progressi sulla sicurezza a cavallo del nuovo secolo.

Un’immagine dei primi anni del 1900 che ritrae degli allievi palombari in posa. Sono tutti molto giovani e l’espressione dei loro visi è un misto tra fierezza e preoccupazione in attesa di scoprire i segreti dell’arte del palombaro (Archivio Ufficio Storico Marina Militare).

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