Il 10 agosto è ricorso il novantanovesimo anniversario della morte di Nazario Sauro, impiccato nel 1916 dagli austriaci con l’accusa di tradimento. Per non dimenticare uno degli eroi dell’irredentismo italiano, voglio raccontare la storia che portò alla sua tragica fine e che si incrocia con quella di un recupero operato da palombari italiani.
Tutto ha inizio in una notte tra il 30 e il 31 luglio del 1916, una notte nera come la pece e per di più interessata da una bassa foschia conseguente ai piovaschi che a intermittenza interessavano quel tratto di mare antistante il Golfo del Quarnaro.
Tutto questo rendeva la navigazione in superficie del sommergibile “Giacinto Pullino” estremamente difficile. In torretta, il Tenente di Vascello Nazario Sauro era spasmodicamente concentrato sul suo compito di pilota, doveva guidare il sommergibile e il suo equipaggio nel Golfo del Quarnaro, lui che essendo nativo di Capodistria era un esperto conoscitore di quelle coste. La missione prevedeva un’incursione su Fiume.
Il “Pullino” era comandato dal Tenente di Vascello Ubaldo degli Uberti e aveva un equipaggio di diciotto uomini.
Poco dopo la mezzanotte, tra lo scoglio della Galiola e l’isola di Unie, il sommergibile investì di prua una secca, proprio a 60 metri dalla costa.
Con il cuore in gola e la percezione di essere precipitati nel giro di un secondo in una situazione disperata, furono tentate tutte le manovre possibili ma il sommergibile non dette segno di disincaglio.
Alle prime luci dell’alba si decise di abbandonare il mezzo dopo averlo sabotato e aver distrutto i codici.
Capodistria, 3 ottobre 1911, plancia Comando del piroscafo “San Giusto”. Da sinistra: Nazario Sauro (in divisa da Ufficiale della marina mercantile austriaca, comandante del San Giusto), la giovane passeggera Costanza Fabretto e Nando, nostromo di bordo.
L’equipaggio sbarcò sul vicino faro che ovviamente era spento a causa delle necessità belliche e requisì un barcone a vela dagli allibiti guardiani. L’idea era di raggiungere le coste italiane.
Nel frattempo Sauro si allontanava da solo su un battellino. Voleva cercare di raggiungere l’Istria, era la sola speranza concreta di salvarsi. Se catturato, per lui sarebbe stata la fine. Gli austriaci consideravano gli irredentisti istriani alla stregua di traditori. Purtroppo due siluranti austriache trovarono sia Sauro sia il resto dell’equipaggio. Il resto della storia è noto, Nazario Sauro fu processato e condannato all’impiccagione per alto tradimento avendo indossato i panni dell’esercito nemico.
Intanto gli austriaci stavano progettando di recuperare il battello cercando di tirarlo dalla secca ma, per motivi mai chiariti, questo affondò durante i tentativi di recupero.
Gli austriaci progettarono allora un successivo tentativo di recupero utilizzando un discreto numero di mezzi: due pontoni, due torpediniere, due siluranti, bettoline e barche appoggio palombari.
A Venezia questi movimenti non sfuggirono al Comando Dipartimentale che decise di dare battaglia per ostacolare il recupero. Fu così dato ordine al sommergibile “Argo” di recarsi insidiosamente sul posto dove si stavano eseguendo i tentativi di recupero. L’ordine era di impegnare e cercare di affondare più mezzi possibili.
L’attacco dell’“Argo” fu sicuramente temerario e dimostrò la sconfinata fiducia che i comandi riponevano su questo nuovo mezzo. In effetti, fu temerario ma anche molto fortunato. Il suo attacco non produsse danni alle navi austriache che furono mancate dai suoi siluri ma la confusione che fece fu tale che gli austriaci reputarono di essere attaccati da più sommergibili e ritennero prudente ritirare la squadra di recupero a Lussinpiccolo.
Nazario Sauro
Tredici anni dopo quella fatidica notte del 1916, rinvenendo i piani austriaci di recupero del “Pullino” negli archivi dell’arsenale di Pola, il generale Ferruccio Boscaro decise di organizzare una spedizione per il recupero del relitto che aveva un grande valore simbolico per l’Italia di quel periodo.
Furono approntati i mezzi dalla piazzaforte di Pola e il giorno 19 settembre del 1929 il convoglio si mise in navigazione per la Galiola.
Una volta raggiunto il luogo stimato dove doveva giacere il relitto, si immersero i palombari Giacomo Varesco (o Varisco) e Francesco Culiat.
Il sommergibile si trovava su un fondale di 56 metri, profondità ai limiti del possibile per quel periodo e le prime operazioni d’individuazione del relitto non furono esenti da rischi. Una volta individuato si decise di imbracare il relitto a prua e a poppa.
Culiat si immerse a poppa e cominciò il suo lavoro, durato un’ora e mezza, per l’imbragatura e il fissaggio dei cavi.
A prua Varesco se la cavò più velocemente, quasi mezz’ora e fu fatta.
Una volta terminata l’opera di imbracatura il pontone riuscì a far risalire il sommergibile fino alla quota di 20 metri tenendolo in posizione orizzontale.
Una volta assicurato il sommergibile sotto il pontone, il convoglio si rimise in marcia alla volta di Pola.
Bisogna dire che questo sistema di recupero poté funzionare perché il “Pullino” in immersione dislocava “solo” 405 tonnellate. Qualche decennio dopo, alla vigilia del successivo conflitto, le dimensioni dei sommergibili non poterono più prevedere il loro recupero a mezzo pontoni ma si dovettero approntare altri sistemi di salvataggio.
Per ironia della sorte, come spesso accade quando si parla di imprese di recupero subacqueo, non appena fu raggiunto l’interno del porto di Pola, nel tentativo di far risalire il sommergibile fino alla quota di 10 metri e rendere così possibile l’immissione in uno dei bacini del Cantiere Scoglio Olivi, uno dei grossi cavi del pontone si spezzò e il sommergibile riaffondò su un fondale di trenta metri.
Ci vollero in seguito altre ore di lavoro dei palombari Varesco e Culiat per riagganciarlo e portarlo quindi in secco in uno dei bacini di carenaggio.
Il sommergibile “Pullino” in navigazione
Nazario Sauro qualche ora prima dell’esecuzione.