Dopo le prime sperimentazioni dell’US Navy con l’uso di miscele elio ossigeno nel 1924 (vedi articolo precedente) si sperimentò anche l’uso dell’idrogeno (ancora più leggero dell’elio) che però combinato con l’ossigeno formava una miscela instabile e pericolosa perché potenzialmente esplosiva.
Agli inizi del 1927 le sperimentazioni furono trasferite definitivamente al Navy’s Bureau of Construction and Repair a Washington.
La sperimentazione in acqua cominciò negli anni trenta e le prime immersioni con l’uso di heliox vennero effettuate con l’utilizzo di normali scafandri da palombaro anche se questi, lavorando a circuito aperto, consumavano enormi quantitativi di miscela. L’heliox era una miscela costosa nonostante il prezzo dell’elio fosse diminuito per la scoperta dei grossi giacimenti di gas naturale e soprattutto i quantitativi rimanevano ancora contingentati. Pensando ad un uso a regime, non poteva contemplarsi la tecnica del circuito aperto e ci si diresse verso l’applicazione, al normale scafandro elastico da palombaro di un sistema di ricircolo della miscela respirata, cioè un sistema a circuito chiuso o quanto meno semi-chiuso. Per questi sistemi si trasse vantaggio dalla lunga esperienza acquisita nel campo delle apparecchiature di respirazione a ossigeno.
Infatti, verso la fine del 1800 c’era stato un notevole studio su queste attrezzature, complice la necessità di operare spesso in ambienti invasi da gas tossici, sia si trattasse di fumo sviluppato dagli incendi sia di gas letali come quelli che potevano formarsi nelle miniere.
Fu proprio il soccorso nelle miniere che diede un impulso notevole allo studio di queste apparecchiature. Eravamo nel pieno di quel processo evolutivo noto come “rivoluzione industriale” e le miniere di carbone si moltiplicavano a vista d’occhio così come i loro addetti, causa l’enorme richiesta di carbone assorbito dalle industrie. Di conseguenza, si moltiplicavano anche gli incidenti e il numero dei minatori che vi rimanevano coinvolti.
Apparato di soccorso a ossigeno a circuito chiuso tedesco Draeger modello 1916/1917. Il primo modello fu commercializzato nel 1903 e subì successivamente quattro modifiche arrivando in ultimo al modello 1916/1917. Era sicuramente uno dei più affidabili e fu usato largamente in tutto il mondo. La parte posteriore lascia intravedere l’ossatura di quello che sarà l’apparato di ricircolo per uso subacqueo D.M. 20 (da Self-contained mine rescue oxygen breathing apparatus, Bureau of Mines, Washington 1929).
L’autorespiratore a ricircolo di gas permetteva di poter respirare l’ossigeno fatto affluire all’interno di un “sacco polmone” secondo la tecnica del circuito chiuso. In pratica s’inspirava l’ossigeno posto all’interno di questo sacco polmone e, sempre nello stesso sacco, veniva espirata l’aria proveniente dai polmoni, ricca quindi di anidride carbonica (CO2). Normalmente il gas espirato, composto di ossigeno non consumato e anidride carbonica, prima di arrivare nel sacco polmone, passava attraverso un filtro riempito di un composto chimico a base di soda che serviva a trattenere la dannosa CO2. Al sacco erano collegate una o più bombole che facevano affluire l’ossigeno necessario a reintegrare quello consumato durante la respirazione. In questo modo si poteva respirare senza contatto con l’atmosfera esterna, dove potevano appunto essere presenti gas venefici.
Fu quindi proprio il principio dell’autorespiratore a circuito chiuso che venne ad applicarsi ai primi apparati per la respirazione delle miscele a elio-ossigeno o idrogeno-ossigeno, principio molto delicato visto che uno dei problemi principali degli scafandri da palombaro nelle immersioni ad alta profondità era l’accumulo di anidride carbonica che, complice l’alto livello di pressione assoluta, poteva risultare letale.
Apparato Draeger DM 20 per respirazione autonoma fino a 20 metri di profondità (g.c. David Dekker)
La ditta tedesca Draeger aveva un indiscusso primato nei sistemi a circuito chiuso e lo aveva sfruttato sperimentando fin dal 1910 uno scafandro da immersione autonomo a ossigeno utilizzabile per una profondità massima di 20 metri. Arrivò poi nel 1912 a commercializzare la versione definitiva, sempre a ossigeno, di questa apparecchiatura per passare poi a un modello a miscela aria-ossigeno per profondità fino a quaranta metri. Tutto questo fu reso possibile dall’invenzione dell’iniettore da parte di Bernhard Dräger nel 1895. L’esperienza derivata dai sistemi d’iniezione dell’apparato Draeger fu sicuramente preziosa per lo sviluppo degli scafandri che poi andranno a utilizzare miscele di elio-ossigeno.
Ci vollero diversi anni per mettere a punto materiali e tecniche, incluse le nuove tabelle di decompressione per elio-ossigeno e questo lavoro non fu esclusivo appalto dei militari della U.S. Navy. Infatti, la possibilità di operare a quote ritenute fino ad allora proibitive smosse l’iniziativa di alcuni civili, palombari e non, che scorgevano grandi opportunità nel campo dei recuperi sui relitti ancora intatti.
Proprio mentre l’U.S. Navy era al termine delle sue sperimentazioni, un giovane promettente ingegnere del Massachusetts Institute of Technology, Max Eugene Nohl, si unì a un pioniere della foto-cinematografia subacquea, John D. Craig e a un eminente fisiologo del Milwaukee County General Hospital, Edgar End, per cercare una via tutta sua alle immersioni ad alta profondità.
Nohl (al centro) durante alcuni test di respirazione di “heliox” in camera iperbarica (da John D. Craig, Danger is my business, The Litterary Guild, New York 1938).
Nohl aveva già costruito un prototipo di scafandro per alta profondità ma gli mancava tutta la sperimentazione necessaria a fare di un progetto una realtà vincente.
Tra il 1936 e il 1937 Nohl si sottopose a una serie di sperimentazioni in camera iperbarica e, dopo alcuni perfezionamenti del suo scafandro, il primo dicembre del 1937 si immerse nel Lago Michigan utilizzando una miscela di elio-ossigeno. L’immersione cominciò alle 12.50 ma venne interrotta alla profondità di 72 metri a causa del cavo telefonico che si era impigliato. Nohl ridiscese e, questa volta senza inconvenienti, raggiunse la profondità di 128 metri dove sostò per nove minuti. Ritornò in superficie dopo una decompressione durata 58 minuti.
Lo scafandro Nohl - Craig durante una prova per testarne la tenuta (da John D. Craig, Danger is my business, The Litterary Guild, New York 1938).
Sicuramente l’immersione di Nohl fu una tappa epica nella storia delle immersioni profonde e ci era arrivato seguendo una strada parallela ma più veloce di quella che stava percorrendo l’U.S. Navy.
L’anno successivo Max Eugene Nohl ed Edgar End compirono la prima immersione in saturazione in una camera iperbarica presso l’ospedale di Milwaukee. L’immersione durò 27 ore alla profondità di circa 31 metri e richiese una decompressione di 5 ore al termine della quale Nohl soffrì di una forma di embolia articolare. Fu questo l’inizio dell’era moderna per le immersioni profonde, Nohl, grazie alla sua intraprendenza, aveva aperto delle strade a doppia corsia.
Nohl (a sinistra) e Craig prima di un’immersione in tenuta da palombaro (da John D. Craig, Danger is my business, The Litterary Guild, New York 1938).